Qui non entrate, ipocriti bigotti, ginocchia fruste, sepolcri imbiancati. Barbari e bruti, peggio che ostrogotti. Capaci di giocar di bussolotti.
Con l’anime, cialtroni scoglionati! Colli torti, sarete qui scornati. Cenere e fumo altrove andate a vendere. Qui non avete nulla da pretendere.
Qui non entrate, scribi e avvocati, notai procuratori e scrivanelli, cancellieri, corrotti magistrelli, farisei ladri, lupi scatenati, contro le facoltà dei poverelli. Qui non avrete diritti o balzelli. Qui mai non nasce lite od altro eccesso onde possiate far causa o processo.
Qui non entrate, lividi usurai, truffatori briganti da catena, e voi che solo in ammassar denari passate i giorni, maledetti avari. E chiunque per lor dolore e pena impone altrui, e il prossimo suo svena. Lungi da questo nobile castello ogni avaro sia qui sempre rubello.
Qui non entrate, vecchi sospettosi, che siete pegio d’animai feroci, voglio dire la razza dei gelosi, vili tiranni, coi ruffian loro soci. E nemmeno impestati o pustolosi osino presentarsi a queste foci. Andate altrove a rovinar la gente, ai vostri pari non darem mai niente.
Entrate invece, giovin cavalieri di bei costumi e di gran cuor dotati, venite avanti, nobili messeri. Tutti vi accolgo, senza gabellieri, quand’anche foste più di mille entrati. Intimi miei sarete, ed onorati, spritosi, galanti e bei sergenti, e in general tutte le nobil menti.
Entrate, entrate, nobil dame e belle. Entrate con letizia d’ogni cuore, liete nel viso e chiare come stelle. Savie nell’alma e franche nell’onore. Vi troverete come buone e belle, così come ha ordinato quel signore che volle fosse fatto un tale ostello e molto oro ci diè per farlo bello.
Francois Rabelais, Gargantua e Pantagruel